Pietro Gruppi

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Ma chi è Pietro Gruppi?
«Sono un baby boomer che è nato a Niguarda, ma quando Niguarda era sperduto nella campagna e da lì mi han portato al Vigentino, ma quando le pecore al pascolo non erano solo quelle che vedevi sull’unico canale in bianco e nero della RAI… per cui, al giorno d’oggi, sono censito dal WWF come “categoria protetta in via di estinzione”. A scuola (la storica Scuola Elementare Damiano Chiesa) mi divertivo a scrivere e a disegnare e lo stesso è successo alla altrettanto storica Scuola Media Statale Emilio De Marchi, zona Crocetta, per cui lascio immaginare il disappunto degli insegnanti allorché il mio papà, nel colloquio finale della scuola dell’obbligo, ha comunicato loro che mi avrebbe fatto studiare “da ragionatt” – “Così poi, magari, entri in banca: posto sicuro, stipendio fisso…”. Conseguito il diploma, ho cercato di svicolare iscrivendomi a Legge, ma il mio pallino era di diventare giornalista, per cui avevo anche cercato di collaborare inviando qualche pezzo al Corrierone, al Giorno e all’allora nascente Repubblica ma, a qualche mia “supplica” ai vari Ottone e Scalfari, mi ero sentito rispondere che, se quanto a scrivere non ero neanche poi così malaccio, quanto a prendermi a bordo, seppur sull’ultimo dei predellini, ce ne correva, per cui “se ti hanno offerto un posto in banca… damm a trà, non lasciarti sfuggire l’occasione: posto sicuro, stipendio fisso…”. E così in banca ci sono finito per davvero e, negli anni a seguire, ho finito per farci pure una discreta carriera; ma appena avevo un momento libero non ho mai smesso di cercare qualche via per evadere, reinventandomi, di volta in volta, seppur part-time, come attore in compagnie amatoriali, come guida di trekking in luoghi remoti, come tenore di cori dal repertorio più eterogeneo, come affabulatore di storie di fantasia assolutamente improbabili… Finché è sopraggiunta la “quiescenza”, che mi ha portato un bene che non avevo mai prima preso in considerazione: mi ha portato alla scoperta del piacere di vivere senza più dover esser approvato e giudicato da una struttura a cui rendere conto, di vivere senza più l’obbligo di dover partecipare, di dover intervenire… il piacere di vivere in una zona franca, una zona finalmente solo mia, in cui diventare, come ha detto qualcuno, contemporaneamente “autore & spettatore di se stesso”».

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